Ho scritto molto - nei libri già pubblicati da importanti Case Editrici - e continuerò a scrivere sull'Arte, rintracciando il nesso spirituale che la realizza come profonda riflessione dell'esperienza umana. Negli anni ho anche messo la mia penna a disposizione degli artisti, esprimendo con chiarezza meditativa i loro messaggi.

Nella crisi attuale, l'Arte deve assumersi la responsabilità di approfondirsi, divenendo il veicolo creativo ed esemplare del nuovo; per questo diviene ancor più rilevante la sua capacità di comunicazione. In tale prospettiva, anche la scrittura sull'Arte assume un nuovo significato: cessando d'essere un'esercitazione di mestiere, deve saper esprimere la vitalità intuitiva che può raggiungere il cuore delle persone, per resuscitarlo col sentore di ciò che è vero.

In questo sito intendo donare visibilità agli artisti che hanno deciso di avvalersi della mia scrittura per presentare il loro lavoro. Inoltre presento le mie meditazioni su importanti artisti storici.


SATVAT E' ARTISTA VISIVO E SCRITTORE

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lunedì 13 dicembre 2010

Satvat su Odilon Redon

Odilon Redon - Budda - 1905-10

Per riflettere sul significato del colore nella Pittura, possiamo avvalerci della vicenda, umana ed artistica, di Odilon Redon. Egli ebbe un’infanzia solitaria, da cui contrasse incubi ed ossessioni che lo accompagnarono per molto tempo. Il suo carattere introverso lo sospinse ad un’avventura fortemente introspettiva ed “in nero”; infatti, per molti anni si dedicò quasi esclusivamente a disegnare con la grafite ed il pastello nero. Queste opere mostrano temi ricorrenti, oscuri e fortemente simbolici: enormi ragni ghignanti, teste mozzate dal martirio ed offerte su vassoi, bulbi oculari fluttuanti e filamentosi, che galleggiano in notti soffocanti. L’intima sofferenza lo portava ad indagare nell’interiorità, per fronteggiare i propri incubi, percorrendo ciò che Jung ha chiamato un “percorso d’individuazione”. I suoi mostri dipinti sono fortemente significativi: il ragno è il tessitore dei labirinti tortuosi della psiche, belva insidiosamente allusiva che il pittore voleva vincere tramite la forza redentrice del pensiero, simboleggiato dalle numerose teste senza corpo che hanno popolato le sue opere; l’occhio, spesso raffigurato volto in alto come a cercare la salvezza di una visione superiore, è lo spietato veicolo di una “opera al nero”, di un’inesausta indagine a cui tutto va sacrificato, per cui l’uomo giunge a trasformarsi in parossistico ciclope. 

E questa totalità diede i suoi frutti: dopo anni di volontaria reclusione nel “nero”, Redon fu in qualche modo fuori dal tunnel, ed approdò finalmente al colore. Qualcosa era accaduto, qualcosa che, a mio parere, i critici non hanno saputo capire, ma che ha favorito una svolta radicale. L’intuizione mi dice che la sua caccia, proprio perché così totale, ha avuto un esito inaspettato: ha portato l’artista, ben oltre le sue stesse intenzioni, al di là del mentale, almeno per un momento. Il sorgere spontaneo della meditazione lo ha rapito nel colore. Tale svolta è segnata dall’opera “Gli occhi chiusi” (1890); da questo quadro si intuisce che il pittore è totalmente preso all’interno, e morbidamente arreso al misterioso flusso dell’Interiore. Da allora non ci sono più stati occhi ansiosi fuori dalle orbite, mai più i mostri paradossali della mente, ma piuttosto creature alate, vaporosità cromatiche, morbide figure nascenti dal colore, “acquari del sogno”, e persino un Buddha vicino all’albero del bhodi. Può darsi che Redon abbia vissuto qualcosa di simile a ciò che in Oriente viene chiamato satori, un episodio di illuminazione temporanea: per un momento il sipario della mente si apre, e si viene fecondati dalla bellezza del Reale. Da ciò giunge una straordinaria e nutriente energia, che il pittore si è prodigato a manifestare con i colori più vivaci. Il famoso quadro “Il ciclope” (1898–1900) sembra confermare la mia intuizione; in esso vediamo un ciclope che appare mansueto, ben più pacificato di quelli dei precedenti disegni “noir”, il quale osserva dall’alto una figura umana, forse androgina, adagiata su un letto di fiori. L’occhio del pensiero sta osservando qualcosa che stenta a capire, qualcosa che non è ancora compiutamente risvegliato; si avverte lo stupore, persino incredulità; eppure pare quasi di sentire il profumo di quella culla floreale, profumo che l’artista aveva avvertito, per cui non poté dubitarne. In altri lavori egli ripropose il tema degli occhi chiusi, ma con un evidente sentimento di nostalgia, come se non riuscisse a ricontattare quella straordinaria Ispirazione. Il satori è passeggero, è un assaggio che scatena la fame dell’Essenziale; probabilmente seguendo questa fame del Trascendente, i quadri successivi si fecero simili a miraggi inafferrabili, sublimati in cromie trasognate. 

Poi, nell’ultima fase della sua opera, Redon pare quasi aver sperso la speranza, ed un’ultima enfasi del ricordo di quella Luce prese le sembianze dei molti mazzi di fiori, soggetto allora preferito, posti in vasi che sembrano voler mantenere viva quella memoria, di cui i coloratissimi fiori sono il simbolo. In questi quadri, si coglie una nostalgia struggente, venata di rimpianto; il vaso (forse simbolo della mente che ricorda) pare spesso quasi indegno dei fiori che contiene, e gli sfondi tornano talvolta a popolarsi di ombre. Emblematico di ciò è “Ranuncoli in un vaso blu” (1914): il vaso blu, colore contemplativo e animico, contiene fiori rossi, gialli e rosa, dei quali uno è caduto; una grande ombra lo inghiotte da destra; tutta la composizione risulta fortemente sfocata, come se fosse prossima a scomparire.

Tratto dal libro di Satvat IL TAO DELLA PITTURA - Bastogi, 2009