Ho scritto molto - nei libri già pubblicati da importanti Case Editrici - e continuerò a scrivere sull'Arte, rintracciando il nesso spirituale che la realizza come profonda riflessione dell'esperienza umana. Negli anni ho anche messo la mia penna a disposizione degli artisti, esprimendo con chiarezza meditativa i loro messaggi.

Nella crisi attuale, l'Arte deve assumersi la responsabilità di approfondirsi, divenendo il veicolo creativo ed esemplare del nuovo; per questo diviene ancor più rilevante la sua capacità di comunicazione. In tale prospettiva, anche la scrittura sull'Arte assume un nuovo significato: cessando d'essere un'esercitazione di mestiere, deve saper esprimere la vitalità intuitiva che può raggiungere il cuore delle persone, per resuscitarlo col sentore di ciò che è vero.

In questo sito intendo donare visibilità agli artisti che hanno deciso di avvalersi della mia scrittura per presentare il loro lavoro. Inoltre presento le mie meditazioni su importanti artisti storici.


SATVAT E' ARTISTA VISIVO E SCRITTORE

SATVAT E' ARTISTA VISIVO E SCRITTORE
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domenica 31 ottobre 2010

Satvat per Elisabetta Vibhuti Limonta



E' da molto tempo che Elisabetta Vibhuti Limonta ha la forma a cuore come icona esclusiva della propria sperimentazione artistica. Sospetto che, in fase germinale, ciò sia iniziato già nel ventre materno, con la formazione del suo stesso cuore, con quella improvvisa scintilla di battito che congiunge ogni nuova vita alla pulsazione grandiosa e corale del Vivente. Deve aver conservato quel ricordo ancestrale nel silenzio, sino a che lo ha ritrovato - certamente con sorpresa! - nella danza del suo pennello. Come in un satori, un'illuminazione istantanea, lei ha ricordato, e da allora ha moltiplicato le pulsazioni del cuore in infiniti quadri. Infatti vedo la sua entusiasta riproposizione tematica come lo scandire dei battiti multidimensionali del Cuore Unico, simbolo universale del miracolo d'Amore che origina e preserva il Creato. L'artista mi ha raccontato di concepirlo come un immenso cuore di cristallo in formazione nel centro della Terra; un'immagine bella e importante, poiché solo riconoscendo il flusso d'Amore che ci sostiene, che ci ricongiunge tra noi e in comunione con il Tutto, riconnettendoci alla Madre Terra, potremo sanare la nostra disperazione di orfani volontari. Tale impegno sul piano sentimentale, naturalista ed ecologista, si rispecchia particolarmente nei cuori disegnati come foglie, come in quelli segnati da una matericità terragna, o resi fluidi da un turbinare azzurro che riecheggia, più ancora che in una conchiglia, la sonorità occulta dell'Oceano.

In ogni quadro Elisabetta Vibhuti dipinge il proprio cuore, che non è solo suo poiché il cuore non ha un senso privato, esclusivo, ma esiste per condividersi, e glorifica l'insieme. Cuore che è speranza, promessa, ricerca, indagine introspettiva, rivelazione, attraversando tutto l'arcobaleno delle emozioni, delle immagini, dei più reconditi pensieri. Proprio come un cuore di cristallo, il lavoro dell'artista è ricco di sfaccettature che rilucono prospettive differenti, dal concettuale, espresso particolarmente nelle opere polimateriche, sino al puro lirismo pittorico. Ho il piacere di conoscere l'artista e la sua opera da diversi anni, così ho potuto testimoniare lo svolgersi inesausto del filo della sua ricerca, senza che si sia mai spezzato o si sia annodato in una stanca ripetizione; ciò ha originato quasi un labirinto di immagini sincrone l'una all'altra, eppure dissimili, preziose e perfettamente autonome. La chiave di quel labirinto è in noi stessi: quel cuore, realizzato dalla pittrice con così tanto sentimento, contagia la nostra intima sorgente d'amore, spesso assopita, per rivitalizzarla.

Immagino che la segreta speranza di Elisabetta Vibhuti sia che il suo cuore, e i cuori di noi tutti, si colmino così tanto d'Amore da esplodere, annullando l'illusione dei confini che ci restringono nell'egoismo. Ho visto i suoi cuori farsi sempre più gonfi, dilatati, occupare via via il massimo dello spazio restringendo il margine del quadro; in tal modo annunciano l'auspicio dell'imminente esplosione. Ma non con superficiale ottimismo. Pur se spesso sono trasfigurati nell'enfasi cromatica che li esterna, mantengono il patrimonio di un'indagine viscerale, di una sofferta meditazione del vissuto. Ciò appare nell'intima pulsazione del cuore stesso, ma anche nel rapporto dialettico tra questo e lo spazio che lo contorna, mai casuale nella scelta e nella tessitura cromatica. La comprensione drammatica dell'artista, esercitata nel rapporto tra il dentro e il fuori, è essenziale per concepire il vero valore del suo sogno, per dargli corpo e radice. Eros e tanathos sono le due facce del mistero del vivere, ma è l'Amore che ineffabilmente le governa; e in definitiva, per essere capaci di amare davvero, deve morire quell'ego che sancisce la separazione. Riguardo a questo, è emblematico un recente dipinto che, con la polarità fondamentale del bianco e nero, presenta un cuore contenente un teschio: non un monito tombale, tipo vanitas,bensì un invito alla trascendenza.

Artista del nostro tempo, Elisabetta Vibhuti Limonta privilegia un'icona che è fuori dal tempo, ma con un linguaggio contemporaneo che esercita le contraddizioni apparenti, e materiali a volte sorprendenti.

Satvat per Corrado Nucci e Valter Ambrosini

Mostra: ANGELI SUONATORI IN CONCERTO

Satvat per Corrado Nucci

Esposti agli elementi, gli alberi danzano e risuonano. La loro stessa sostanza è armonica, perfetta per costruire strumenti musicali. Scultore del legno, Corrado Nucci ne ascolta le vibrazioni interiori che gli rivelano qual nume si cela nella materia. Allora, la passione dell'artista si prodiga a liberarlo nell'epifania della forma, separando ciò che è vitale, ed ha significato, dalle scorie. I “legni-parlanti” di Nucci ci mostrano che la forma dell'Arte non è arbitraria, bensì ha radici nell'Essere. Infatti lo scultore non crea dal nulla, da uno sterile sogno, piuttosto, come diceva Gaudì, prosegue l'opera creativa della Natura. Realizzando che l'Arte è luogo di incontri straordinari, Corrado Nucci edifica un bosco di personaggi. Sono figure incise, a tutto tondo, come da un pentagramma universale; dall'immaginifico spartito dei propri corpi, traggono echi di musiche terragne, componendo un concerto. Il suonatore di flauto evoca la magia silvestre, che i suoi compagni eretti elevano al Cielo, proprio come fanno gli alberi. Entrando in questo bosco incantato, assaporiamo il senso mitico e corroborante della Natura.



Satvat per Valter Ambrosini

Pittura e Musica, come intuì Kandinsky, sono linguaggi più che assonanti, poiché entambe fondano la loro magia su vibrazione, tonalità e ritmo d'espressione. La Pittura compone figurando degli accordi visibili che provocano in noi un'intima risonanza, mentre la Musica fa lo stesso con una danza invisibile, senza lasciare traccia. Così, facendo un omaggio pittorico alla musica, Valter Ambrosini evoca un tracciato saturo di riflessioni con pennellate sicure; il pittore ritrae dei musicisti che sono intenti nella vertigine armonica del jazz, mostrando quasi un'epica di passione, suono e umore, fenomeno pienamente umano, liberatorio e dionisiaco. Contemporaneamente, egli associa a questo la sua controparte invisibile, riferita ad un piano angelico che è complementare, in senso archetipico, a quello umano. Gli angeli musicisti, ripresi dal Giudizio Universale del Signorelli, affiancano i musicisti jazz, pur in modo ieratico, distante. La loro musica celestiale è inudibile all'orecchio, tuttavia l'intuizione dell'artista rivela che denso e volatile si rispecchiano, tanto che quei salmi d'adorazione angelica possono incarnarsi attraverso l'ispirazione umana. Certamente, l'uomo traduce quell'ispirazione trascendente col proprio calore, in modo dinamico, coinvolgente e persino orgiastico; ma, a ben vedere, è la stessa musica, lo stesso inno di lode alla Vita, che può essere etereo quanto ruggente, manifestando la bellezza in modo diverso. Libera dal moralismo, poiché profondamente vera nel proprio sentire, l'Arte annuncia che non vi è un'incolmabile distanza, che la vetta e l'abisso possono incontrarsi in un'armonia ineffabile, che ha il sapore salvifico dell'Unità. Per questo, dopo aver sognato nove tele nel blu celeste e pacificante, Valter Ambrosini non omette d'infiammare un'opera nel rosso, un richiamo apparentemente infero che invero serve a stabilire un bilanciamento, essendo un espediente alchemico che richiama all'unicità del Tutto.

Satvat su Futurismo/Presentismo

"FUTURISMO/PRESENTISMO" - Mostra svoltasi a Orvieto

In occasione del centenario del Futurismo, ho ideato il progetto di questa mostra, a cui hanno aderito numerosi valenti artisti del territorio orvietano. Riporto qui sotto le riflessioni che ho scritto per l'occasione.


All'inizio del '900 il Movimento Futurista accese la miccia di un radicale fermento innovativo. Lo fece con indomabile orgoglio virile: concentrando l'energia sino al punto critico in cui essa deflagra esplodendo; amplificando gli stimoli sensoriali tramite una percezione simultanea, capace d'elaborare sinergicamente differenti attività spazio-temporali; celebrando il dinamismo estremo, il tecnologismo avveniristico, il clamore, l'attrito, l'antigrazioso. Nell'Arte ha osannato i lampi vividi del colore ed una geometrizzazione proiettiva che ha saputo descrivere la multidimensionalità del panorama esistenziale, concependo forme guizzanti con cui ha narrato eroiche imprese d'uomini, di metropoli e di macchine rombanti. Si immaginava che, sotto tali colpi d'ariete, il mondo di allora, ritenuto decadente poichè stantio e convenzionale, non avrebbe potuto reggere; dalle sue macerie sarebbe sorta la "ricostruzione futurista dell'Universo". Un mondo totalmente nuovo, giovane e purificato dal vecchiume che, per ingannare le coscienze, si imbellettava con vuoto romanticismo. Osteggiando il "chiaro di luna", il Futurismo preferì il lume a gas e le folgori dell'elettricità, complici di visioni disincantate e tuttavia fantasmagoriche, poichè orientate alla vertigine del progresso. Ogni nuovo traguardo conquistato, ed ogni scoperta della Scienza, contribuivano a rafforzare il mito progressista, che trovava ragione nel fervente processio d'industrializzazione, il quale prometteva più lavoro e più benessere. Noi, che abbiamo tracannato il calice del progresso sino alla feccia, scoprendone infine l'amarezza, possiamo vedere come le profezie futuriste siano state tradite. Mentre il Futurismo incoronava l'individuo come libero creatore, la logica imperativa del profitto non ha rispettato nè l'individuo, nè i popoli, nè la Natura. Sul progresso ha regnato un Sistema che ci ha voluti massimamente passivi, docili produttori e consumatori obbedienti. Addormentandoci nel consumismo, abbiamo spento in noi la passione perciò, contemplando l'Arte Futurista, non possiamo che domandarci dove siano finiti quell'edonismo vitale e quella fierezza, ed il fervore innovativo, la sprezzatura, l'ottimismo. Nel centenario della nascita del Futurismo, oltre alla sentita celebrazione di quest'arte straordinaria, ci troviamo a riflettere su tutto questo. In tal senso hanno operato gli artisti che partecipano alla mostra FUTURISMO/PRESENTISMO as Orvieto, in questa terra umbra di cui furono figli alcuni dei grandi pittori futuristi, come Gerardo Dottori, Alberto Presenzini Mattioli, Alessandro Bruschetti, Leandra Angelucci Cominazzini, ed altri. Gli artisti presenti non si sono limitati ad un'operazione della memoria, bensì hanno riallacciato quel filo elettrico con cui i futuristi condussero tanto impeto propulsivo e tante scintille creative. Da ciò hanno tratto una profonda meditazione sul presente, resuscitando quell'entusiasmo ineffabilmente giovane che è vera virtù dell'animo umano. Oggi come allora, necessitiamo di una nuova visione del mondo, che possa riaccendere la speranza. Imparando dagli errori commessi, dobbiamo ricercare in noi stessi la sorgente primeva ed insopprimibile dell'energia vitale, trovando il coraggio e la determinazione per percorrere strade innovative. Tiranneggiando la Natura, ci siamo spersi ed abbiamo abdicato alla nostra identità autentica, rendendoci dolorosamente orfani. Se il Futurismo ci aveva ubriacati di velocità, facendoci sognare un meccanismo perfetto e sovrano, capace di alchemizzare al massimo grado la Natura, il Presente ci invita a meditare sulle nostre più intime risorse, per imparare che possiamo e dobbiamo integrarci creativamente con la Natura stessa.

Satvat su Vincent Van Gogh

Vincent Van Gogh - I cipressi - 1890
MOSTRA AL VITTORIANO DI ROMA
Van Gogh:Campagna senza tempo e città moderna.

Prendendo lo spunto dalla mostra romana su Van Gogh, torno a parlare di questo artista straordinario, che ho citato su molti dei miei libri. In lui si sono concretizzati tutti i sogni indomiti, le ispirazioni celesti e infernali, i conflitti, le intuizioni delle forze segrete delle materie, le vertigini ispirate che appartengono ad ogni artista. Van Gogh ha vissuto tutto questo con coraggio, catarsi primordiale e sacro tremore, pagando un pesante tributo all'allora nascente individuazione dell'individuo/artista; tuttavia la sua opera, pur tragicamente carnale, ha trovato la via di un'ascesi che tuttora commuove ed insegna. Non come sogno spiritualista, bensì come intensa alchimia che ha approfondito con forza le viscere dell'uomo quanto della materia pittorica; lì il pittore ha frugato, rovistando le scorie sino a trasfigurarle nella luce. Per questo la sua pittura non si è spenta, ma cova come brace sulla tela, sensibile ad ogni alito contemplativo per rinfocolarsi e sprizzare meraviglia.

La pittura di Van Gogh ha vissuto profondamente il suo tempo, mettendo radici nella pietra lavica, con tenacia inaudita e disperazione, ma ciò che egli ne ha tratto è un singulto della visione che ha trasceso il tempo, divenendo immortale. E profondamente gioiosa, nonostante tutto, mostrando il tesoro irrinunciabile dell'arte, che nessun artista deve mai dimenticare. Allora, agli albori dell'Arte Moderna, quel fulgore materico e veritiero, gettato dal pennello, è stato ritenuto rozzo dai benpensanti che volevano principalmente anestetizzarsi nell'arte, sentendosi rassicurati dall'estetica tradizionale; ma quella forza primigenia, avulsa dai compromessi, era una pulsazione di vita che niente ha saputo soffocare. Questo apprezziamo, sensualmente godiamo, spiritualmente riconosciamo, sentendoci intensamente grati.

Davanti alle tele di Van Gogh, salgono brividi spremuti dai colori, vivaci e gravidi di succo come frutti maturi. In questo modo il pittore ha rappresentato i propri sogni visionari: plasmandone la polpa rigonfia, aprendo il suggello delle proprie viscere e scendendo in fondo alla miniera, per trarne le gemme rilucenti. Ne ha provato il brivido ancestrale, trovando il dinamismo sinusoidale dell'anima che ha abolito ogni rigore figurale; tutto risulta in moto, nell'irrefrenabile mutazione della Vita, che uomini più pavidi hanno cercato inutilmente di raffrenare. L'artista, figlio di quel tempo, non ha potuto sostenere tutto questo nella propria personalità; conservava una rigidità dolente, poco meditativa, tuttavia non si è sottratto, sino ad esserne spezzato. Ma il suo coraggio d'avventuriero ha comunque reso la preghiera urlante della sua pittura ben più preziosa e più vera di ogni salmo, di ogni recitazione canonica.

Il dramma s'avverte maggiormente nelle visioni metropolitane di Van Gogh, teatro d'aspro confronto ed emarginazione; ma anche in queste il pittore ha calato un umore intimistico, profondamente umano e infuso di compassione. Pure la città moderna non ha potuto limitare la proliferazione dell'interiore, che è ascesa glorificandosi in notti stellate e turbinanti.

Riflettendosi nella Natura campestre, Van Gogh si è scoperto più orientale, trasfondendo il proprio amore per le stampe giapponesi. La sua esplorazione silvestre ha un'afflato non piattamente naturalistico, bensì animato da un soffuso senso di satori, la rivelazione zen che l'artista aveva inconsciamente respirato insieme all'Arte dell'Estremo Oriente.

In definitiva, la mostra del Vittoriano è un'occasione per aprire il cuore, partecipando alle visioni poderose di questo grande artista, patriarca involontario della coraggiosa individuazione dell'uomo e della Pittura.

Satvat per Valter Ambrosini

L'ARTE DELLA MEMORIA:

Una mostra particolare, questa di Valter Ambrosini, e coraggiosa. Viviamo in un mondo sempre più disumanizzato, tecnologico ed estraniato in una globalizzazione galoppante, di cui molta Arte Contemporanea è, purtroppo, lo specchio fedele, patendo così un'espropriazione d'anima. Invece questo artista ha orientato lo sguardo della sua pittura nel microcosmo esistenziale del proprio paese, Castelgiorgio, operando in tal modo una riconversione della stessa all'intima motivazione dell'Arte, che è quella di rivelare le radici misteriose di ciò che rimarrebbe solo prosaicamente visibile. Affinché ciò possa accadere, occorre recuperare il senso dell'intimità esistenziale, dell'esperienza quotidiana, farsi memoria per non dimenticare chi realmente siamo. Ed infatti uno dei grandi temi dell'Arte è quello del senso d'identità dell'essere umano, per cui possiamo riconoscere di non essere frammenti sperduti in un caos alieno, fondando piuttosto un senso d'integrazione.

Valter Ambrosini ha operato questa ricerca di memoria, che è anche ricordo del presente, nel territorio a lui più prossimo, rintracciando le iconografie esemplari e profondamente umane di personaggi che sono tutt'altro che personaggi, cioè non sono stereotipi ma esseri unici, osservati con affettiva partecipazione. Nulla è peggio dell'essere congelati in un personaggio, banalizzati con le malizie che i mass-media ci hanno insegnato, svuotati di profondità e contraddizioni. In modo ben più fecondo, i soggetti su cui l'autore ha lasciato posare l'occhio sensibile della Pittura non sono messi in fila, espropriati di se stessi; al contrario, sono colti in un'individualità che non è plastificata dall'artificio. La sensitiva partecipazione che il pittore ha saputo esercitare, scava sin nelle radici animiche dei sogni che a ciascuno di essi appartengono, mostrando come si possa essere eroi di se stessi, glorificati da una straordinaria ordinarietà che ci fa uguali a nessun altro, e non codificabili. Per questo ogni figura ritratta risulta “vera”, ed è stata pittoricamente immersa in una solitudine quasi lunare, che non la isola dal tutto, bensì intende far risplendere la preziosità dell'unico. Nel quadro del barbiere vi sono due persone che sono raddoppiate nello specchio, a significare l'importanza dell'atto sociale e quotidiano, in cui l'individualità diviene corale. Questo dipinto è in verità saturo di implicazioni, poiché ci mostra come ognuno possa fungere da specchio, e testimonia velatamente anche la “funzione di specchio” che la Pittura stessa deve saper esercitare; qualsiasi cosa l'artista giunga ad effigiare sulla tela, deve saper evocare in chi guarda un auto-riconoscimento segreto.

In questa mostra, che è dedicata alla memoria attualizzata ed attuale di Castelgiorgio, rincontriamo non solo i nostri vicini, dato che questa amplificazione d'umanità, che solo l'Arte può evocare, giunge a toccarci direttamente; pur riverberato dal singolo, il tema si allarga al senso collettivo che è storia vivente di un paese, ma inoltre esso è anche riflessione sul senso esistenziale dell'uomo in generale. Per questo motivo, il dipinto che raffigura le nozze dei genitori dell'artista è rigorosamente in bianco e nero, espediente che cristallizza l'evento in una a-storicità che è fuori dal tempo; così esso diviene un simbolo di genitura ancestrale e fondamento stesso della memoria, che rende comprensibile il presente e lo proietta in ogni possibile futuro. Nello stesso tempo esso è posto come nume tutelare che legittima organicamente l'intera mostra, annunciando che si ama, per cui si trasmette il patrimonio della vita, e così si forma il vivere collettivo, che dev'essere tutelato dalla reciprocità e dal rispetto. Emblematicamente, Valter Ambrosini ritrae se stesso intento a dipingere lo sposalizio dei genitori; egli vuol significare la profonda comprensione delle radici, di una memoria trasmissiva ed archetipica che in lui stesso si rende attuale, per cui egli può osservare con empatia il mondo che lo circonda, e quindi è reso capace di narrarlo con straordinaria efficacia.

lunedì 11 ottobre 2010

Satvat su Endre Rozsda

Endre Rozsda - Simbolo ermetico - 1974
Endre Rozsda, pur travagliato a lungo da una vita disperata, è riuscito a partecipare insieme ai grandi artisti del '900 alla rivoluzione dell'Arte Moderna. Egli ha attraversato il suicidio del padre, la più grave indigenza, la guerra, le purghe antisemite del nazismo, le censure dello stalinismo, la segregazione in Ungheria (il suo paese di nascita); nonostante tutto ciò ha mantenuto acceso il fuoco sprizzante della propria creatività, e proprio questo lo ha sospinto come viandante coraggioso e clandestino verso la libertà.. Attratto come una falena dal faro creativo che allora era a Parigi, varie volte è dovuto tornare sui suoi passi, ma senza scoraggiarsi ha continuato a forzare la mano ad un destino ingrato. Infine ha conquistato la vibrante libertà dell'Arte ed un'intima soddisfazione interiore, come mostra la sua opera straordinaria.

Nell'Arte egli ha sognato un mondo in cui poter camminare avanti e indietro sulla “dimensione del tempo”, ed infatti è andato al di là del proprio tempo, così come dovrebbe fare ogni artista. Infatti la dimensione temporale, così come l'esprit di un'epoca, è relativa ed illusoria, e l'artista dovrebbe impegnarsi nel ricercare e manifestare il sempre presente. Rozsda si sentiva “contemporaneo di avvenimenti antichissimi”, perché aveva raggiunto il mondo delle matrici, scomponendo la visione in infinitesimali frammenti per recuperare una visione non prosaica, ma esotericamente dilatata nell'intero. Contemplando la sua pittura mi emerge con insistenza il mito di Osiride: la Divinità smembrata nell'apparenza mondana dev'essere rigenerata investigandone e riconnettendone i frammenti. Per questo, come i grandi artisti, Rozsda ha cercato il battesimo del Caos, sforzandosi di creare "una superficie torbida sulla quale poter cominciare a cercare". Su questa ha scomposto le sue visioni nei più minuti dettagli, rintracciando, come in un puzzle, ciò che combaciava con lo Spirituale.

A mio parere la sua opera, rimasta piuttosto al margine delle grandi celebrazioni dell'Arte, è oggi più contemporanea di molte altre che attualmente infestano le gallerie, dato che risponde con mezzi ancora efficaci ad una bruciante domanda sullo Spirituale che l'Arte Contemporanea tende ad evitare. Ma io continuo a sognare che ogni artista approfondisca se stesso ed il proprio lavoro, sino a poter dire con Rozsda: "Illumino oggetti e uomini. Sveglio chi dorme, risveglio i morti".

Satvat su Mark Tobey

Mark Tobey - Red's passing - 1968
Parlando di Mark Tobey ho l'impressione di parlare di un intimo amico, tanto sono simili, alla radice, le nostre ricerche artistiche ed esistenziali. In qualche modo mi accorgo che le mie forme caleidoscopiche sono fiorite dallo stesso spazio pittorico che egli aveva meditativamente calligrafato. Seppure ciò può non essere evidente ad un primo sguardo, il fraseggio dell'anima in espansione è il medesimo, e scaturisce da simili comprensioni spirituali; per questo posso trovare nella sua pittura così tante risonanze e coincidenze, ad esempio con ciò che ho sperimentato nel tema di “universal web”.

La ricerca artistica di Mark Tobey è nata da un'esperienza spontanea di non-mente. Era il 1918 e si era appena sparsa la notizia della fine della 1 guerra mondiale; egli scese in strada e si unì alla folla festante. L'enfasi celebrativa e collettiva portò la sua consapevolezza ad un apice di congiunzione con il Tutto, facendo svanire i muri percettivi con i quali la mente definisce la ristrettezza dell'io. Per l'intero giorno egli rimase in uno stato di estatica immedesimazione con l'accadere, senza imporre i filtri estranianti della coscienza razionale. Fu uno stato di rapimento mistico, che egli si impegnò a resuscitare nel suo successivo lavoro di artista. Infatti egli intese l'Arte come possibilità d'espandere la consapevolezza, e per realizzarla frugò profondamente in se stesso, avviandosi anche su percorsi coraggiosi che lo condussero in Cina e Giappone, dove praticò la meditazione e l'arte pittorica del Taoismo e dello Zen. In Oriente non cercò però il sogno illusorio di un'alterità, ma la Via per divenire più autenticamente se stesso, e ne trasse un vibrante “impulso calligrafico”che celebrò con i suoi “white writings”. Paul Klee ebbe a dire che nella pittura di Tobey si assiste alla “genesi della scrittura”, ed infatti i suoi quadri sono arene dell'autocoscienza spirituale del segno.

Artista d'alto profilo, rimase tuttavia al margine della roboante pittura americana del periodo. Tobey era “bilanciato” e meditativo, ed affatto “american macho” (anche per la sua omosessualità socialmente disprezzata), ed inoltre il suo apprezzamento della cultura del “nemico giapponese” era ritenuta sospetta; tutto questo lo alienò per diverso tempo dalle simpatie della critica e del pubblico. Pur dopo i più alti riconoscimenti internazionali, egli è rimasto un po' appartato, vivamente apprezzato ma in circuiti amatoriali; basta vedere quanto poco si è pubblicato sul suo lavoro. Ciò nonostante ha ispirato molti, alcuni dei quali, come Pollock, l'hanno orgogliosamente negato. Il suo insegnamento rimane straordinariamente valido, soprattutto perché intende portare l'anima dell'artista fuori dalla prigione dolorosa dell'io, per danzare con le libere ed estatiche arie impersonali dell'Ispirazione; una profezia che l'Arte contemporanea ha assolutamente bisogno di verificare, per esserne spiritualmente rigenerata.

Satvat su Friedensreich Hundertwasser

Friedensreich Hundertwasser - Montagna domestica - 1993-94
Quand'ero ragazzo presi ad Amsterdam molte cartoline dei dipinti di Hunterwasser, con le quali tappezzai la mia stanza; fui attratto dall'immaginazione lisergica e spiraliforme di questo artista, ma di lui non sapevo nulla. Non sapevo, ad esempio, della sua filosofia e del suo impegno artistico-ecologista, delle sue intuizioni ante-litteram sulla bio-architettura, della sua coerenza nel mantenersi libero dalla logica materialistica e dai vincoli del mercato dell'Arte. Approfondendo nel tempo la sua conoscenza, lo ho apprezzato sempre di più, riscontrando anche molteplici corrispondenze con il mio percorso filosofico, artistico ed esistenziale.

Entrambi abbiamo cercato il senso della Vita e dell'Arte nel grembo della Natura quanto nel cuore del labirinto psichico dell'uomo. Infatti, come Hundertwasser, anch'io ne ho spontaneamente tratto colori massimamente vivaci e forme femminilmente tondeggianti, insieme ad un sentimento libertario che non accetta compromessi. Contemplando i suoi quadri, visitando le sue architetture e leggendo i suoi scritti, ne ho potuto apprezzare il valore, affatto sminuito dalla nota stonata di un certo fanatismo, che lo ha sostenuto nel mantenersi risolutamente coerente. Per farsi la propria strada, remando controcorrente, ci vuole un carattere forte, e una personalità tanto cristallizzata risulta inevitabilmente coriacea, a meno che non si risolva tuffandosi nel vortice impersonale della meditazione, fiorendo nell'innocenza. Forse per tentare di diluire la durezza del carattere, il pittore ha istintivamente prediletto i colori all'acqua, con cui ha tracciato spirali e labirinti sfumati, sempre ponendosi orizzontalmente in connessione con il grembo di Madre Terra. Comunque ciò che Hundertwasser ha espresso risulta di straordinaria attualità, e meriterebbe una riflessione ben più accurata di quanto gli sia concesso. Perché egli, come tutti i veri artisti, ha mostrato doti profetiche, soprattutto riguardo allo scempio che si stava perpetrando contro la Natura e contro l'uomo stesso, e che oggi ha raggiunto il punto critico.

Ci siamo ingabbiati in città verticalizzate che generano malattia, degrado ed alienazione, ed abbiamo corso lungo una linea dritta e tecnologica che ci ha forsennatamente distanziato dalle nostre radici naturali ed animiche, conducendoci al limitare del disastroso precipizio, proprio come Hundertwasser aveva sin da allora denunciato. Abbiamo confezionato le nostre “tre pelli” (che secondo l'artista sono la psiche, il corpo, lo spazio abitativo) come camicie di forza artificiali che ci stanno asfissiando. A tutto ciò Hundertwasser oppose giustamente una fiorente creatività, fondamentalmente semplice ma saggiamente “curva” e battezzata dai colori della speranza. Egli ha combattuto l'oscurità cercando di alimentare la luce, e credo che questo sia il giusto modo di operare.

Al contrario, spesso l'Arte contemporanea assomma oscurità su oscurità, elaborando una concettualità foscamente disperata, ammantata da impotente denuncia. Ma il potere dell'Arte si esprime nel comunicare creatività, riconoscimento della bellezza e ispirazione, mentre pescare mentalmente nel torbido certo non giova; l'artista che imbastisce il proprio lavoro sul dolente risentimento, sull'evidenza dell'ingiustizia e sulla catarsi sociale, manca l'autentica responsabilità creativa e contribuisce a mantenerci entro il recinto di filo spinato dell'angoscia. Forse questo è il più importante insegnamento che Hundertwasser ci ha lasciato: aveva individuato i mali che sarebbero incancreniti portandoci al punto in cui siamo, ed anche per questo ha insistito nel creare un'arte positiva, romantica, “bella come un gioiello” ed ecologista.

Satvat su Pablo Picasso

Pablo Picasso - Guernica
Picasso mi è cordialmente antipatico. Contemplando la sua opera non trovo alcuna vulnerabilità, alcun sussulto d'anima o di femminile trepidazione. Tuttavia Picasso è un genio, e non posso non amarlo; lo amo però come si può amare un padre ruvido che non sa aprirti il cuore, ma che a modo suo è profondo e abile, ricco di autorità e carattere.

A lui dobbiamo i precetti di una rivoluzione artistica, l'azzardo maschio di una nuova geometria, la sacra arroganza dell'ateismo formale, il “fare contro”, la propulsione sfrenata di un amplesso con l'informe. Con lui abbiamo rinunciato al sogno di essere artisti per imparare dolorosamente a disegnare come bambini, per vedere con occhi spalancati, a volte stralunati ma non del tutto privi d'innocenza. A lui dobbiamo le più folgoranti sentenze sull'Arte, tuttora affatto spente. Tutto ha provato e percorso; insaziabile argonauta, ha strappato il vello d'oro dal giardino sublime dell'Arte per farne robusti calzari con cui calcare l'impossibile. Ha prodotto l'opera di genio insieme a mediocrità e bruttura, il tutto cementato da una personalità eccessiva che ha saputo edificare un monumento imperituro.

E' stato lui il primo “assassino della Pittura”, ma ci ha lasciato in eredità mille quadri, mille schizzi brulicanti, mille icone di false divinità estranianti. In definitiva, con la sua pittura ha tentato di sfuggire laicamente alla morte, e devo dire che purtroppo vi è riuscito. Nel senso che superarlo, per procedere oltre, è stato drammaticamente difficile e per alcuni versi tuttora incerto.

Satvat su Richard Pousette-Dart

Richard Pousette-Dart - Uccello primordiale - 1944
Un giovane Richard Pousette-Dart sorride nella famosa foto degli Irascibili, gli artisti esplosivi della Scuola di New York. In effetti, pur se nella sua pittura ha esperienziato una gestualità libera, in qualche modo affine a quel Movimento, egli ha espresso una vivace riflessione alchemica e spirituale, che si è distanziata in altitudine dalla fermentazione puramente catartica dell'azione. La sua arte ha percorso territori selvaggi, in cui il segno si è sottoposto a rituali iniziatici nei vortici e nelle onde del mutamento, ed in cui il colore si è approfondito nella propria intrinseca saggezza, sino a divenire materia archetipica e pulsante. In tutto ciò, Richard Pousette-Dart ha conservato un eccezionale senso della misura, non declinato dal raziocinio bensì dalla spontaneità consapevole. Egli si è arditamente esteso in ogni direzione, ma mantenendosi connesso con il centro, con la radice della presenza meditativa. Per questo la strutturazione pittorica è spesso ripartita a croce, intersecando il piano orizzontale terrestre con quello verticale e celestiale. Per questo nella sua opera è così presente il cerchio simbolo dell'interno/esterno, simbolo del Tutto. E pure nel puntinismo cromatico che dilaga dalle sue tele più tarde, possiamo accorgerci che nessuno dei milioni di punti è casuale o distratto, ma intensamente e meticolosamente partecipato. Un tale controllo dell'opera è possibile solo all'Artista Interiore, che è pura testimonianza creativa della Vita stessa.

Nei lavori giovanili, già intuitivamente maturi, egli meditava con forme d'occhio (virtù della visione) e forme d'uccello (ascesi e liberazione). Egli esercitava onde ellittiche, come orbite cosmiche e diagrammi astrali, riflessi nel dipinto per evocare l'Unità spirituale del Sotto e del Sopra, recitando artisticamente la Tavola Smeraldina. Richard Pousette-Dart ha avuto meno notorietà dei suoi roboanti amici Irascibili, restando appartato nelle proprie meditazioni. Le vette insondabili e commuoventi della sua pittura sono affatto per la massa, ma per l'estimatore sensibile, per l'amante appassionato. Allora i suoi dipinti straordinari si rivelano vivi, pulsanti, capaci d'attrarci in un altrove, perfettamente presente, in cui ritroviamo la vibrazione estatica che permea ed unisce noi stessi ed il Tutto.

Satvat su Wassily Kandinsky

Wassily Kandinsky - Ovale bianco - 1919

Tornando da una passeggiata, Kandinsky fu sorpreso da un suo dipinto casualmente appeso sottosopra. Tale banalissimo evento lo trovò sveglio, trasformandosi in un agguato dello Spirituale che cambiò radicalmente ed universalmente la concezione della Pittura. L'artista percepì che, seppure il quadro capovolto non mostrava alcunché di riconoscibile, non risultava alieno bensì più "reale" di una visione ordinaria. Infatti, liberandosi da ogni descrittività iconografica, esso riusciva a testimoniare le consonanze misteriche dell'Anima. Sino ad allora, la Pittura si era ingegnata a raffigurare oggetti, ma Kandinsky, in quel momento di pura intuizione, comprese che l'oggetto nuoceva ai suoi quadri. Agli occhi del pittore, si apriva un universo artistico che era esotericamente costituito da essenze, manifestate da forme e colori, riscattando l'ovvietà di una pittura descrittiva di oggetti figurali.

Fu l'avvio, per Kandinsky e per ogni essere umano, di un'avventura artistica e percettiva d'immensa portata. Non più vincolata alla descrizione del già esistente, la Pittura si rendeva artefice devota della creazione spirituale, tanto profonda da culminare nell'astratto. Ma divenne anche chiaro che se l'artista è libero di percorrere il nuovo, al contempo deve rendersi intensamente responsabile di se stesso quanto della propria creazione. Infatti, per creare qualcosa di valido ed autentico, l'artista deve entrare meditativamente in se stesso, sino a convibrare con l'impulso creativo originario, che non è individualisticamente arbitrario bensì universale. Questo riconoscimento dello "Spirituale nell'Arte" è il grande contributo di Kandinsky, ed il corollario della sua preziosa intuizione (a tutt'oggi non veramente compresa) che l'opera è legittimata unicamente dalla sua "risonanza interiore", altrimenti rimane ottusa decorazione. Egli proseguì in tale ricerca con totalità, orientandosi con tutti i mezzi filosofici e ricognitivi che erano praticabili nel suo tempo, insieme all'intrinseca religiosità del suo. lavoro Le prime opere astratte (come "Primo acquerello astratto) risultano ardite ed ingovernabilmente fluttuanti, ma poi, per procedere da pioniere nello sconosciuto, Kandinsky ha dovuto adottare linguaggi più conformati, geometrici e traccianti. Con l'impegno distaccato dello scienziato, egli ha decantato le grammatiche della narrazione interiore. Di fonte all'insondabile Magia, ha profondamente osservato, preso appunti, tentato di decodificare l'inesprimibile, disegnando mappe dell'arcano paesaggio animico che sono si astratte, ma rigorosamente coerenti.

Certo non è stato mago o sciamano dell'Arte, piuttosto un sacerdote ispirato. Non si è gettato a capofitto nell'abisso, confidando in una rinascita al di là dell'io, però vi si è calato procedendo coraggiosamente passo dopo passo, assicurandosi alla corda della Ragione. Non ha bevuto al calice dell'Arte sino alla feccia, ma si è mantenuto sobrio per conservare il senso e la misura del viaggio. In quell'epoca si aprivano faticosamente sentieri totalmente nuovi, cercando d'orientarsi con la bussola dello Spirituale esoterico; non ci si poteva permettere di perdersi in vagabondaggi astrusi. Non era il momento della vertigine catartica, del caos creativo, della gestualità selvaggia. Tutto ciò sarebbe giunto dopo alcuni anni, scompigliando ciò che lo "Spirituale nell'Arte" di Kandinsky, e di altri, aveva edificato. Nell'evoluzione si procede per gradi, creando, distruggendo, e ricreando su un nuovo livello.

Tuttavia è visibile che qualcosa è andato storto, nell'essere umano e nell'Arte: lungo la via si è ceduto alle lusinghe del cinismo materialistico. Senza mantenere il riferimento alla risonanza interiore (unica costante davvero necessaria) e soffocata da un edonismo negativo, l'Arte si è smarrita in superficie. Nello stesso modo, rinnegando la dimensione spirituale, l'uomo si è reso orfano dell'Esistenza. Perciò, contemplando il panorama sconfortante dell'Arte contemporanea, ci troviamo a rimpiangere l'ispirata aristocrazia d'anima che ha reso impeccabili Kandinsky e la sua opera.